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Cellule Staminali

Molti ricercatori stanno esplorando nuovi approcci terapeutici basati sull’utilizzo di cellule staminali, che presentano enormi potenzialità rigenerative grazie alla loro capacità di autorigenerarsi e di differenziarsi in qualsiasi tipo di cellula del corpo (pluripotenza). Il limite nell’utilizzo di queste cellule risiede nella loro potenziale teratogenicità e tumorigenicità e nella difficoltà di dirigerne il differenziamento verso la linea cellulare desiderata.
Uno studio appena pubblicato su Nature Biotechnology da Lyndon da Cruz et al. riporta i risultati estremamente interessanti di uno studio clinico di fase I basato sul trattamento di pazienti affetti da AMD essudativa mediante il trapianto di un patch costituito da una membrana sintetica biocompatibile ricoperta da vitronectina e da un monostrato di cellule di epitelio pigmentato retinico derivate da cellule staminali embrionali umane.
Immagine grafica rappresentativa delle cellule staminali nei diversi organi

Questo approccio ha tenuto conto del fatto che la progressione della AMD inizia con la degenerazione dell’epitelio pigmentato retinico e della sottostante membrana di Bruch e solo successivamente prosegue con la perdita dei fotorecettori e il danneggiamento della coroide. L’epitelio pigmentato retinico è un tessuto fondamentale per la funzionalità visiva in quanto nutre e sostiene i fotorecettori, pertanto il rimpiazzamento dell’epitelio pigmentato retinico danneggiato con un tessuto nuovo e sano potrebbe ripristinare la funzionalità visiva.

Lo studio clinico in esame è stato preceduto da numerosi studi preclinici che hanno dimostrato che il modo più efficace e sicuro di utilizzare le cellule staminali embrionali è quello di trasferire le cellule già differenziate nel tipo cellulare richiesto (in questo caso cellule dell’epitelio pigmentato retinico) e su un supporto in grado di evitare la dispersione cellulare durante il trasferimento. Infatti il trapianto di cellule in sospensione aveva dato scarsi risultati sia in termini di sopravvivenza delle cellule trapiantate sia in termini di miglioramento visivo dei pazienti trattati. Il trapianto di cellule di epitelio pigmentato retinico derivate da cellule staminali pluripotenti indotte autologhe ha dimostrato invece una buona sopravvivenza cellulare ma non un miglioramento visivo.
Ulteriori dati derivati da studi preclinici in modelli animali hanno dimostrato la sicurezza di questo tipo di procedura sia a livello chirurgico sia per l’assenza di tossicità, teratogenicità e tumorigenicità all’interno dell’occhio. Tali risultati hanno permesso di ottenere l’autorizzazione ad effettuare uno studio clinico in vivo nell’uomo. In questo importante studio clinico i ricercatori hanno realizzato dei “patches” costituiti da una membrana biocompatibile ricoperta da vitronectina umana e da un unico strato di cellule di epitelio pigmentato retinico derivate da cellule staminali embrionali umane fatte differenziare in vitro e in seguito piastrate a confluenza, circa 100.000 cellule per ogni patch di 3 mm x 6 mm. Le cellule del patch, a differenza di quelle in sospensione, presentano un differenziamento completo, un orientamento cellulare stabile e giunzioni cellulari che rendono l’organizzazione spaziale di queste cellule molto simile a quella dell’epitelio pigmentato retinico in vivo. Il patch è stato “ritagliato” nella forma e dimensione desiderate, controllato per la presenza di cellule differenziate e assenza di cellule ancora nello stadio indifferenziato, indesiderate in quanto potenzialmente teratogene e tumorigeniche, e impiantato al di sotto della retina, nello spazio sotto-retinico in corrispondenza della fovea, mediante un delicato intervento di microchirurgia oculare e con l’ausilio di uno strumento apposito per il suo posizionamento sotto la retina. Il trapianto ha coinvolto 10 pazienti affetti da AMD essudativa allo stadio avanzato e il trattamento è stato effettuato in un solo occhio, quello con acuità visiva peggiore e che aveva subito una recente perdita visiva. La scelta è stata basata su un motivo di sicurezza e anche per permettere di evidenziare più facilmente un eventuale recupero visivo.

Il corretto posizionamento del patch nello spazio sotto-retinico è stato monitorato mediante biomicroscopia stereo, fotografia del fondo oculare e tomografia a coerenza ottica Spectral Domain (SD-OCT). 

Immagine grafica rappresentativa di cellule staminali small

In seguito i ricercatori hanno seguito i pazienti al fine di verificare la sicurezza dell’impianto dei patches, la percentuale d’insorgenza e la gravità di eventuali eventi avversi e l’eventuale miglioramento dell’acuità visiva negli occhi trattati.


Lo studio ha dimostrato che l’impianto del patch è una procedura sicura, infatti si sono verificati solo tre eventi avversi, di cui solo uno direttamente collegato alla procedura di impianto del patch e consistente in un distacco di retina subito gestito chirurgicamente con successo. Gli altri due eventi avversi erano correlati all’utilizzo di immunosoppressori: il prednisone somministrato per via orale prima dell’intervento ha alterato il controllo della glicemia in un paziente diabetico, mentre l’impianto di un dispositivo a lento rilascio di cortisone all’interno della cavità vitreale ha determinato un problema in un altro paziente. Anche questi eventi avversi sono stati gestiti efficacemente con apposite terapie.

Oltre alla sicurezza della procedura, lo studio ha dimostrato la sopravvivenza del patch e delle cellule di epitelio pigmentato retinico in vivo a 12 mesi dall’impianto, con l’evidenza che le cellule trapiantate si erano integrate al’epitelio pigmentato retinico nativo mostrando anche segni di attività cellulare (fagocitosi). Non vi è stata alcuna evidenza di trasformazione neoplastica.

In due pazienti si è potuto inoltre evidenziare un miglioramento dell’acuità visiva misurata sulla tabella EDTRS (Early Treatment Diabetic Retinopathy Study): da 10 a 39 lettere in un caso e da 8 a 29 lettere nel secondo caso. In entrambi i casi la fissazione visiva era centrata sul patch e la visione comprendeva anche l’area del patch stesso. L’analisi elettroretinografica (ERG) ha mostrato una leggera diminuzione della funzionalità dei fotorecettori a 6 mesi dall’impianto, con conseguente alterazione dell’elettroculografia (EOG). La funzionalità dei fotorecettori è rimasta alterata in un paziente ma è stata recuperata nell’altro paziente nell’arco dei 12 mesi di follow-up. In nessun caso è stato necessario effettuare una terapia iniettiva con anti-VEGF.

L’occhio è particolarmente adatto per l’applicazione di terapie basate sull’utilizzo di cellule staminali, poiché rappresenta un compartimento separato dal resto del corpo grazie alla presenza della barriera emato-oftalmica, per questo motivo le cellule staminali trapiantate non solo rimangono confinate all’interno dell’occhio, ma possono anche essere monitorate e, in caso di fenomeni neoplastici, distrutte. Inoltre le reazioni di rigetto possono essere prevenute effettuando immunosoppressione a livello locale, solo all’interno dell’occhio, senza dover intervenire a livello sistemico.

Questo studio ha dimostrato la realizzabilità di un patch costituito da uno strato di cellule di epitelio pigmentato retinico derivate da cellule embrionali umane, la sicurezza dell’impianto del patch nello spazio sottoretinico in termini di assenza di tossicità e la sopravvivenza del patch e delle cellule di epitelio pigmentato retinico a 12 mesi dall’impianto unicamente grazie a immunosoppressione locale.

Il miglioramento visivo ottenuto con questa nuova tecnica potrebbe risiedere nel fatto che le cellule di epitelio pigmentato retinico impiantate sono cellule nuove, giovani, contrariamente a quelle del paziente, che solitamente presenta un’età superiore ai 60 anni. Inoltre le cellule derivate dalle staminali non presentano una predisposizione genetica a sviluppare la AMD né una predisposizione determinata dall’esposizione a fattori di rischio (fumo, radiazioni UV etc.). A causa dell’assenza di pazienti utilizzati come controllo (sham), gli autori non possono escludere che il miglioramento visivo possa essere dovuto al solo trapianto o ad una inintenzionale rimozione della membrana neovascolare sottocoroideale, però la concomitanza della presenza del patch, della sopravvivenza delle cellule dell’RPE derivate dalle staminali, della presenza e funzionalità di fotorecettori, della sensibilità retinica e della perfusione coroideale suggeriscono che il miglioramento sia dovuto all’impianto del patch.

I 12 mesi di follow-up dello studio sono sufficienti per determinare la sicurezza della procedura e la sopravvivenza delle cellule nel tempo ma non per definire la pericolosità della teratogenicità tardiva, per questo motivo i pazienti saranno monitorati per ulteriori 5 anni.

Riteniamo di poter affermare che, con tutti i limiti di una tecnica allo stadio iniziale, questo nuovo approccio terapeutico rappresenti un punto di inizio molto incoraggiante e una pietra miliare in oftalmologia per quanto riguarda la terapia cellulare basata su cellule staminali, pertanto seguiremo con vivo interesse gli sviluppi futuri di questa linea di ricerca con l’augurio che essa possa presto offrire una cura concreta ai milioni di persone affette da AMD e da altre patologie degenerative della retina.

Il miglioramento visivo ottenuto con questa nuova tecnica potrebbe risiedere nel fatto che le cellule di epitelio pigmentato retinico impiantate sono cellule nuove, giovani, contrariamente a quelle del paziente, che solitamente presenta un’età superiore ai 60 anni. Inoltre le cellule derivate dalle staminali non presentano una predisposizione genetica a sviluppare la AMD né una predisposizione determinata dall’esposizione a fattori di rischio (fumo, radiazioni UV etc.). A causa dell’assenza di pazienti utilizzati come controllo (sham), gli autori non possono escludere che il miglioramento visivo possa essere dovuto al solo trapianto o ad una inintenzionale rimozione della membrana neovascolare sottocoroideale, però la concomitanza della presenza del patch, della sopravvivenza delle cellule dell’RPE derivate dalle staminali, della presenza e funzionalità di fotorecettori, della sensibilità retinica e della perfusione coroideale suggeriscono che il miglioramento sia dovuto all’impianto del patch.

I 12 mesi di follow-up dello studio sono sufficienti per determinare la sicurezza della procedura e la sopravvivenza delle cellule nel tempo ma non per definire la pericolosità della teratogenicità tardiva, per questo motivo i pazienti saranno monitorati per ulteriori 5 anni.

Riteniamo di poter affermare che, con tutti i limiti di una tecnica allo stadio iniziale, questo nuovo approccio terapeutico rappresenti un punto di inizio molto incoraggiante e una pietra miliare in oftalmologia per quanto riguarda la terapia cellulare basata su cellule staminali, pertanto seguiremo con vivo interesse gli sviluppi futuri di questa linea di ricerca con l’augurio che essa possa presto offrire una cura concreta ai milioni di persone affette da AMD e da altre patologie degenerative della retina.

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