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Le drusen familiari dominanti condividono alcuni caratteri della degenerazione maculare correlata all’età. La distrofia retinica a nido d’ape di Doyne (DHRD) e la malattia Leventinese, sono due diverse espressioni di una patologia a trasmissione autosomica dominante a penetranza completa, ma espressività variabile, causate da mutazioni del gene EFEMP1.
La prima descrizione oftalmoscopica di una forma di drusen familiare era stata osservata in pazienti che vivevano nella valle Leventina nel Canton Ticino del sud della Svizzera all’inizio degli anni venti.
Successivamente è stato dimostrato che le caratteristiche istopatologiche della malattia Leventinese sono di fatto indistinguibili da quelle della distrofia di Doyne ed è stato sottolineato la diversa distribuzione radiale che le drusen assumono nelle famiglie con la malattia Leventinese.
Le lesioni della malattia Leventinese consistono in numerose piccole drusen allungate che si irradiano all’interno delle arcate vascolari; con l’avanzare della patologia, si sviluppano delle drusen morbide confluenti nella zona maculare. Studi istopatologici hanno stabilito che i depositi radiali sono continui o interni alla membrana basale dell’epitelio pigmentato retinico.
Nella malattia Leventinese si possono rilevare due tipi di depositi. Il primo tipo, più prominente, consiste in depositi nodulari focali sub-retinici. Il secondo tipo di depositi sembra essere localizzato sulla parte anteriore del RPE, paragonabili ai depositi drusenoidi subretinici, meglio conosciute come pseudodrusen reticolari (SDD).
Diagnosi
I sintomi visivi riferiti dal paziente includono discromatopsia, fotofobia, metamorfopsie e uno scotoma relativo già presente all’età di 30-40 anni. La maggior parte dei pazienti con la malattia Leventinese è asintomatica fino alla seconda terza decade di vita, tuttavia, può verificarsi talora una riduzione dell’acuità in età più avanzata. Con l’evoluzione della malattia, la maggior parte dei pazienti presenta una perdita della visione centrale e degli scotomi assoluti, che sono associati allo sviluppo di marcate alterazioni al livello dell’epitelio pigmentato retinico (EPR) e di progressione verso l’atrofia geografica (GA) o una neovascolarizzazione coroideale (CNV).
La diagnosi di malattia Leventinese si effettua tramite l’esame del fondo oculare e l’esecuzione di specifici esami strumentali e viene confermata esclusivamente dall’analisi genetica. Gli esami strumentali, ai quali il paziente deve sottoporsi, sono la Perimetria Computerizzata, per individuare la presenza di scotomi nel campo visivo, la Tomografia a Coerenza Ottica (OCT) ad alta risoluzione per analizzare ogni singolo strato retinico, l’Autofluorescenza (BAF) del fondo per individuare le zone di atrofia retinica già presenti, l’Angiografia con Fluoresceina (FAG) e Verde Indocianina (ICGA) per evidenziare eventuali complicanze tra cui la neovascolarizzazione coroideale e l’Elettroretinogramma (ERG) per valutare nel tempo i danni funzionali nella trasmissione del segnale a livello retinico.
Trattamento
I pazienti con malattia Leventinese che sviluppano una neovascolarizzazione coroideale vengono trattati con iniezioni intravitreali di Anti-VEGF. Per i pazienti che non hanno ancora sviluppato complicanze neovascolari, è stato da poco sperimentato un protocollo di ricerca proprio dal Prof. Cusumano e dal suo gruppo, che prevede l’utilizzo del laser 2RT® per cercare di aumentare la funzionalità retinica e visiva, migliorando il ciclo visivo, cosi come è stato dimostrato con l’elettroretinografia, e rallentare allo stesso tempo la progressione della patologia ripristinando in parte la ridotta conducibilità idraulica della membrana di Bruch.
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